L’attuale crisi economica ha duramente colpito anche lo sport. Quanto di lapalissiano racchiude tale affermazione, cela invece un problema ben più nascosto e radicato, ed quindi bene sgombrare il campo da falsi proclami o ribadite affermazioni che vogliono lo sport – specie quello dilettantistico, cioè quello che rappresenta il movimento di base più numeroso- non investito da una crisi profonda che ha ripercussioni su aspetti micro e macroeconomici.
In un clima di palese incertezza, lo sport vive in prima linea anche le recenti misure restrittive in materia di fisco, figlie non solo del famoso ‘Decreto Salva Italia’, ma di un’operazione di ‘bonifica’ e di specifico monitoraggio, operate dagli organi di controllo sul mondo dilettantistico che, per numerosità di realtà , è spesso risultato di difficile verifica. Ad esso, tuttavia, sono riconducibili un numero elevatissimo di operazioni commerciali con aziende e di servizi offerti. Ad esserne maggiormente ‘colpito’ o comunque, ad essere maggiormente sotto la lente d’ingrandimento, sembra perciò proprio essere il settore dilettantistico, associazioni e società dilettantistiche e tutti coloro che svolgono attività sportiva e che potremmo definire ‘sportivi dilettantistici’.
Il problema è ben differenziato e strutturato. Di sicuro c’è che l’istantanea scattata allo scenario sportivo italiano, evidenzia da una parte organizzazioni sportive che, sulla scia di tempi d’oro che ormai furono, hanno dato vita a realtà economicamente onerose, fino a ieri sostenute da appassionati e facoltosi imprenditori o sostenibili grazie a sponsor che investivano per ampliare notorietà o semplicemente per ragioni sociali o di ‘amicizia’ con i responsabili delle realtà sportive stesse. Dall’altra parte, il non giuridicamente definito, ma reale, nascere di una vera e propria categoria di lavoratori, che per l’appunto abbiamo chiamato ‘sportivi dilettantistici’. Giocatori, allenatori e figure professionali del mondo sportivo dilettantistico, la cui prestazione viene acquisita dietro il riconoscimento di un compenso – in molti casi a titolo di ‘rimborso’, elargito sfruttando le norme e i benefici fiscali riservate allo sport dilettantistico, come la L.133/1999 art.25, legge che regolamenta il trattamento fiscale degli emolumenti erogati nel settore dello sport dilettantistico.
Le difficoltà sempre maggiori di intercettare sponsor, per i piccoli e medi club con valenza territoriale, rispecchia l’indebolimento economico del settore sport e la fine del riconoscimento dei benefici fiscali e di ritorno d’immagine dell’investimento in sponsorizzazione e pubblicità , per ‘imprese alle prese’ con ristrettezze economiche e , in certi casi, con tagli al personale che rendono moralmente non etico investire ancora nello sport.
Ulteriore problema è rappresentato dal ruolo delle istituzioni locali, i Comuni su tutti. Le norme relative al ‘Patto di stabilità ’, impongono limiti di spesa anche a riguardo delle elargizioni un tempo garantite alle realtà sportive e all’investimento sportivo in generale. La tendenza, quasi totalmente diffusa, è quella di affidare la gestione diretta ed ordinaria delle strutture e degli impianti ai club, a fronte dell’elargizione di un contributo forfetario di spesa. Tale impostazione, parte dalla considerazione che le associazioni e società sportive dilettantistiche possono avvalersi, spesso in forma totalmente gratuita, dell’apporto dei volontari: una vera e propria forza che assolve a numerosi incarichi e operazioni di gestione (si pensi magazzinieri, a chi si occupa di sistemare i campi da gioco o i locali di allenamento..). Dati alla mano, si è constatato che un più diretto coinvolgimento delle società sportive, ha abbattuto decisamente i costi di gestione delle strutture.
Ebbene, anche i sopracitati contributi divengono sempre più di difficile corresponsione e comunque sia, risultano ormai insufficienti per le società . Altri contribuzioni ‘istituzionali’ sono state pressochè soppresse, se non solamente destinate a specifici progetti o, in caso, derivanti da fondi comunitari e perciò non destinate allo sport diffuso.
I problemi cardine sono perciò quelli legati alla gestione degli impianti locali (problema bilaterale, sia per le società sportive che per l’Ente istituzionale), alla ricerca di fondi di finanziamento per le realtà sportive (sponsorizzazioni et similia), alla posizione attuale e al futuro di tanti atleti che fanno del dilettantismo una vera e propria attività lavorativa.
Partendo a ritroso, il nodo della questione è tanto semplice quanto complesso. I compensi percepiti da atleti ed allenatori di realtà sportive dilettantistiche sono considerati come ‘redditi diversi’: questo perché, giuridicamente, mancherebbe il carattere di ‘continuità ’ della prestazione fornita. Aspetto che, tuttavia, nella realtà non è così, sussistendo una vera e propria attività lavorativa che segue precisi orari e impostazioni dettate dal datore di lavoro (nel caso specifico, le società sportive).
A tali ‘sportivi dilettantistici’ vengo perciò elargiti compensi che hanno valenza di rimborsi e che entro il limite dei 7.500 euro sono anche esenti da ritenute Irpef per la società sportiva, sfuggendo altresì all’obbligatorietà dei versamenti dei contributi previdenziali e delle imposizioni fiscali.
La crisi economica e una deregolamentazione soggettiva delle realtà sportive, portano spesso al ‘fallimento’ di molte realtà , strette dalla morsa di posizioni debitorie difficili da controllare, di sponsor che non riescono ad onorare gli accordi e di contratti sempre più onerosi con atleti. Spesso, a farne le spese, sono in primis proprio quest’ultimi: ‘vittime’ economiche, previdenziali ed assistenziali, con prospettive lavorative davvero nebulose a fronte anche di impegni finanziari assunti, come qualsiasi buon padre di famiglia o risparmiatore che sia.
Se risulta complesso apportare modifiche alla trentennale ‘Legge n.90 del 1981’, ovvero quella che regolamenta il ‘professionismo sportivo’, occorre studiare ed approvare misure snelle, chiare e risolutorie per disciplinare e salvaguardare il presente e il futuro di questa tipologia di lavoratori, divenuta ormai una ‘categoria’ vera e propria, rappresentante migliaia e migliaia di persone.
Misure complete di indicazioni per regolamentare gli aspetti lavorativi, previdenziali ed assistenziali, identificando chiare posizioni di lavoratori e quindi contribuenti. In linea, quindi, con quanto dettato dalle politiche fiscali.
Preme sottolineare un altro punto di non minore rilevanza, tutt’altro. La mancata tutela di questa fascia di lavoratori, pone gli stessi in una posizione debole nei confronti anche delle banche, dell’accesso al credito, delle assicurazioni e di diversi enti: le garanzie richieste dagli istituti sono ormai restrittive e difficili da ottemperare per chi non ha una chiara configurazione di lavoratore e di reddito.
L’altro problema cardine per lo sport dilettantistico è la posizione che questo gioca con le amministrazioni locali e il costo che le stesse devono sostenere per ottemperare alle spese connesse all’impiantistica e al contributo economico di sostegno erogato.
Le recenti leggi economiche nazionali, impongono tetti di spesa agli enti locali (il cosiddetto ‘Patto di stabilità ’). Nel capitolo dei tagli rientrano ovviamente anche i budget per lo sport e quindi il via alle penalizzazioni al settore è già abbondantemente iniziato.
Da un certo punto di vista, tale problema, apre gli occhi d’innanzi ad un sistema ormai vizioso a cui si assisteva: i contributi dei Comuni erano fondamentali alla vita economica delle realtà sportive, ma ciò comportava un maggiore immobilismo delle stesse. Oggi, invece, davanti al problema di sostenibilità economica, lo sport si deve organizzare come una vera e propria impresa, per cercare di rendersi attiva e dinamica, appetibile da finanziatori e sponsor, intraprendente e propositiva per differenziare le proprie entrate.
Il numero dei praticanti e di appassionati che a vario titolo gravitano attorno alle realtà sportive, rappresenterà ancora di più una discriminante tra le realtà sportive stesse.
Gli Enti Locali, a loro volta, devono pensare allo sport non solo come fenomeno sociale da incentivare senza discriminazioni tra discipline, ma come vero e proprio investimento. Il budget di spesa destinato a tale settore, deve perseguire l’obiettivo di fare dello sport una ‘leva economica commerciale e turistica’, sfruttando le squadre d’eccellenza e le manifestazioni di rilievo, che il territorio possiede o ospita.
L’interazione pubblico-privato, inoltre, rappresenta la più immediata e concreta risposta alla gestione dei beni immobili e alla possibilità di costruire nuovi impianti. La facilitazione degli adempimenti per progetti in ‘project financing’, il ‘Naming rights’ degli impianti esistenti per l’annullamento o diminuzione delle spese di mantenimento delle strutture, l’assegnazione in comodato d’uso pluriennale di terreni, aree ed edifici comunali, le operazioni di ‘real estate’ su aree con impianti sportivi obsoleti, ma in posizioni strategiche ad elevato valore immobiliare: sono solo alcuni incipit d’azione strategica da sviluppare, attraverso l’accostamento agli assessorati e uffici sport, di consulenti specializzati in tali ambiti, votati e valutati sul risultato. Come nelle aziende.
Ultimo in questo ordine cronologico, ma primo per importanza, è il problema della sostenibilità dello sport dilettantistico. L’aspetto base, cioè, su cui gioco-forza si regge ogni discorso successivo – nel nostro caso precedente – che ne diventa conseguenza. Si è accennato, precedentemente, dell’importanza per le associazioni e società sportive, nonché per gli enti, di acquisire i tratti caratteristici dell’imprenditorialità e delle imprese.Uno spirito propositivo nei confronti di papabili finanziatori e di ‘sfruttatori’ della community di praticanti ed appassionati che compongono la propria realtà sportiva.
Questo concetto è un ritorno alle origini, ovvero alla concezione della società sportiva quale ‘patrimonio sociale, culturale ed affettivo della comunità a cui appartiene e dei suoi tifosi, oltre ad essere impresa economica di coloro che ne sono temporaneamente proprietari’.
Aspetto sottovalutato o concepito solo nella veste teorica positiva e non nella sua applicazione pratica. D’ora in avanti, ciò farà la differenza tra realtà sportiva e realtà sportiva, tra sostenibilità e difficoltà economiche, tra ‘sopravvivenza’ e chiusura d’attività .
Una delle maggiori incongruenze dello sport dilettantistico risiede nel rapporto esistente tra la definizione di sistema, per l’appunto, di carattere ‘dilettantistico’ e budget di spesa decisamente non il linea con tale regime. Una delle possibili e delle più opportune azioni da intraprendere, dal momento che la stragrande maggioranza delle realtà dilettantistiche sono organizzate come Associazioni o Società di capitali dilettantistiche aderenti al ‘Regime Agevolato’ della Legge n.398 del 16 dicembre 1991, sta proprio nella fedele applicazione di tale norma, che spesso per varie ragioni e per varie necessità è derogata o violata. La ‘398’ stabilisce un plafond di 250.000 euro, per i ricavi commerciali imponibili ad un regime contabile e fiscale che gode di ampi benefici. A tale importo possono altresì essere aggiunti circa ulteriori 51.000 euro per l’organizzazione annuale di massimo due eventi sportivi. Bene, proprio questo ‘tetto’, potrebbe essere usato per definire il limite di fatturato e di relativa spesa di tutte quelle società ed associazioni che risiedono nel dilettantismo. Facile pensare ad un sistema maggiormente sostenibile, che abbatterebbe decisamente i costi, razionalizzando le spese, perseguendo davvero il ‘valore aggiunto’ e che vedrebbe una concezione, comunque sia, professionale dello sport (sarebbero garantiti compensi a titolo davvero di ‘rimborsi a sportivi’ e spese di gestione che garantiscano una congrua competitività e crescita sportiva tra i club). Come spesso capita, un’azione e applicazione di massa di tale linea da parte di tutti i club, andrebbe a generare un sistema condiviso.
Circa gli ‘sponsor’, è chiaro che oggi le aziende non si trovano più nella posizione di poter diversificare l’investimento nella pubblicità , specie in ambito locale. I budget individuati, vengono impiegati in precisi progetti comunicativi e in brand sportivi nazionali, che colpiscano target ampi (si pensi alle maratone, agli eventi sportivi nelle grandi città , ai tornei internazionali..) o, viceversa, ben precisi. Ovvero tutto ciò che lo sport dilettantistico e locale difficilmente può offrire. Neanche i ‘benefici fiscali’, o meglio la ‘detrazione fiscale delle spese di pubblicità ’, non rappresenta più un espediente appetibile per convincere a farsi sponsorizzare.
E’ di dominio pubblico, inoltre, che la ormai famosa ‘lente d’ingrandimento’ degli organi di controllo, punta decisamente sullo sport e su queste realtà dilettantistiche, che evidenziano un folto legame con aziende, attività commerciali e a cui viene additato di esser sfuggite nel passato al controllo, alimentando anche il cosiddetto ‘sommerso’ riguardo la corresponsione in maniera indebita degli stipendi o il mancato versamento di oneri tributari diretti ed indiretti.
Il coinvolgimento delle associazioni di categoria, del territorio e l’avviamento di attività commerciali intraprendibili (ovvero legittimate e non escluse dalla Legge 398/91), attraverso strategie di interazione tra i fruitori (praticanti e familiari, appassionati, stakeholder in senso lato) e partner (negozi, aziende, banche, assicurazioni..), sono solo alcuni esempi di attività e strategie per diversificare le entrate delle società sportive.
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